Pirì parla con un bambino

I primi giorni di ottobre; ancora non faceva freddo e il sole splendeva limpido senza più la forza bruciante dell’estate ormai passata.

Era davvero piacevole stare all’aria aperta ammirando e godendo del cielo terso e dei meravigliosi colori che l’autunno appena iniziato regalava alla campagna.

Nella fattoria si era tutti concentrati, col pensiero e con le forze sulla vendemmia in pieno svolgimento.

La raccolta dell’uva procedeva a tempi serrati per timore che il tempo cambiasse e le piogge potessero rovinare il raccolto.

In cantina il vino nuovo fermentava nel tino e faceva sentire il suo profumo anche fuori dall’edificio.

Quel giorno aspettavo la visita di una classe di bambini che venivano proprio per provare l’esperienza della vendemmia e di fare il vino. I vendemmiatori erano nel campo da più di un’ora quando si sentì il suono di un clacson da corriera.

Andai incontro ai visitatori lasciando il campo e, appena mi vide, l’autista del pulman, mi lanciò un’altra allegra strombazzata e mi salutò agitando la mano.

I bambini stavano già scendendo aiutati dalle maestre e invitai tutti a sistemarsi in cerchio attorno a Pirì. Dopo le presentazioni e i soliti discorsi sull’importanza di un’alimentazione sana e corretta e sulle nostre radici contadine che vi risparmio perché Pirì dice sempre che sono troppo lunghi e noiosi, stavo per chiamare tutti alla vendemmia, quando incontrai lo sguardo corrucciato di Pirì:“ah, già dimenticavo!” dissi dandomi una manata sulla fronte . “Non ho terminato le presentazioni! Questo spaventapasseri si chiama Pirì e cura le pubbliche relazioni della fattoria”.

Raccontai per filo e per segno come fosse finito da noi e notai con la coda dell’occhio che lo sguardo di Pirì stava tornando sorridente. Che megalomane! Secondo lui parlare di terra e di alimentazione è inutile e noioso, al contrario non devo dimenticare di raccontare la sua storia come fosse il personaggio più importante della fattoria! Se no s’offende. E così, poi, andammo nel campo. Ogni bambino aveva portato con sé un secchiello e un piccolo paio di forbici. Dopo le dovute spiegazioni i bambini si lanciarono nell’impresa; all’inizio incontrarono qualche difficoltà a tagliare i grappoli con le loro piccole forbici, ma di lì a poco i secchielli iniziarono a riempirsi velocemente e dovevo addirittura correre per vuotarli tutti nel grande carro lì vicino dove lavoravano anche gli altri vendemmiatori.

L’uva era molto bella; gli acini, gonfi e neri neri, facevano venir voglia di assaggiarli e così parecchi bambini avevano già una bella museruola violacea attorno alla bocca. Altri avevano le mani tutte appiccicose e così ne uscì qualche scherzo: “posso farti una carezzina?” diceva un maschietto ad una bella bimba bionda e intanto le impiastricciava le guance e i capelli di succo d’uva.

La dolce bella bimba bionda, come risposta, prese il suo secchiello pieno d’uva e di succo e lo versò sulla testa del distributore di carezze che si trovò così tutto pieno d’uva e appiccicoso. Iniziò una scena straziante: il bimbo cominciò a piangere e ad indicare l’autrice del misfatto. Io mi avvicinai per vedere di mettere le cose a posto e subito inciampai nel secchiello del piangente anch’esso, neanche a farlo apposta, pieno d’uva che si rovesciò a terra facendo cadere rovinosamente anche me! “Forse abbiamo vendemmiato abbastanza”, sentenziò una maestra e io d’accordissimo, ancora seduto per terra, dissi “tutti alla fattoria! Si va a pigiare!”.

Così Pirì ci vide tornare nell’aia. Mettemmo tutti i secchielli pieni assieme sul prato. Feci sedere i bimbi sulle panche e le maestre cominciarono a togliere loro  scarpe e calzini per prepararli alla pigiatura. Un bambino, però, si rifiutava di togliere le scarpe e diceva: “non voglio pigiare l’uva, non mi piace, mi sporco i piedi!”. Insieme alle maestre provai ad insistere spiegando che si trattava di una cosa piuttosto simpatica e divertente, ma non c’era niente da fare. Il bambino si era intestardito nella sua convinzione e ad un certo punto scoppiò a piangere e scappò via rifugiandosi dietro allo spaventapasseri. “lasciamolo un po’ lì”,disse una maestra “magari gli passa”, e sfilò un calzino rosso che aveva un bucanino sul pollicione.

Il bambino che si era nascosto dietro Pirì piangeva in silenzio; teneva le mani nelle tasche dei pantaloni e ogni tanto pestava coi piedi. “Come ti chiami?” gli chiese Pirì con la sua vocina. Il bambino restò di stucco. “Ma chi è?” disse. “Sono io”, rispose Pirì, “lo spaventapasseri!”

“Ma tu non puoi parlare,” disse il bambino, “sei fatto di paglia!”. “Questa volta faccio un’ eccezione per te, mi sembri così triste ! allora mi dici il tuo nome?”. “Ma che te ne importa?” resisteva il bimbo. “Ma se devo parlare con te, come faccio a chiamarti per nome se non lo so? E poi tu invece conosci già il mio!”. “Mi chiamo Antonio” disse il bimbo. “Un bel nome” fece Pirì’, “proprio bello, ma perché non vuoi pigiare l’uva come gli altri? Deve essere bellissimo non trovi?”

“Penso di sì” rispose “ma non posso, non posso proprio.” “Ma perché?” insisteva il nostro Pirì.

Il bimbo allora si arrese e si confidò con quel simpatico e stravagante spaventapasseri che parlava: “È per via dei piedi, sono così grandi che tutti i miei compagni riderebbero subito di me se li vedessero!” “Lo credi davvero?, guarda che se hai i piedi grandi potresti essere il miglior pigiatore della classe, saresti quello che fa più succo di tutti!”. “Dici davvero?” “Certo!, e poi si sta dritti meglio con i piedi grandi!”. “Lo dice sempre anche il nonno” rispose Antonio un po’ confortato”. “Vai, allora, che se no ti pigiano tutta l’uva, però mi raccomando, solo tu sai che io posso parlare, non dirlo a nessuno. E adesso vai e acqua, anzi succo in bocca!”.

Antonio tornò tra gli altri che erano entrati nella grande tinozza dove avevo versato l’uva contenuta nei secchielli, da solo si tolse scarpe e calzini, si rimboccò l’orlo dei pantaloni ed entrò un po’ timoroso nella tinozza con gli altri che gli fecero subito posto. Insieme, tenendosi per mano, iniziarono poi a pestar l’uva coi piedi scandendo il ritmo con l’incitazione pronunciata ad alta voce :_“Pi-gia! Pi-gia! Pi-gia! Pi-gia! E tutta l’uva fu spremuta a dovere, il succo venne raccolto in un recipiente chiuso da portare a scuola per osservare la fermentazione del mosto. Ci si lavò ed asciugò per bene i piedi per passare poi in cantina dove, in silenzio e con gli occhi chiusi per un minuto ascoltarono il buffo borbottio del mosto in fermentazione e finimmo nell’aia dove, mano nella mano, formammo un cerchio e imparammo un ballo popolare tradizionale romagnolo.

Il cerchio girava, i bambini si scambiavano di posto con le bambines e ogni volta che Antonio passava accanto a Pirì gli faceva l’occhiolino e lo spaventapasseri lo ricambiava con un sorriso raggiante e, quasi quasi, avrebbe ballato volentieri anche lui.